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TAMBURRO ANTONIO
 
ARTISTA OPERE MOSTRE IN ASTA
 

Antonio Tamburro è nato ad Isernia nel 1948. Dopo la Scuola d‘Arte ha frequentato, a partire dal 1966, l‘Accademia di Belle Arti di Napoli, con il Maestro Franco Gentilini. Alle prese con i suoi ricordi l‘artista racconta "l‘inizio del mio percorso pittorico è stato molto duro, non avevo molte possibilità economiche e non potevo comprarmi a sufficienza i colori, tanto che fui costretto a farmeli da solo utilizzando le terre impastate con l‘olio adoperato per la frittura. Chiaramente non era il massimo per un pittore, considerando che i quadri ci impiegavano mesi per asciugarsi. A proposito di questi impasti un amico, ancora oggi mi ricorda che un mio quadro ci impiegò 10 anni per asciugarsi del tutto. Mi ricordo che comprai alcuni libri d‘arte, i primi numeri della collana dei Maestri del colore e mi sembrava di possedere chissà quale tesoro; addirittura me li mettevo sotto il cuscino, me li sfogliavo, me li guardavo continuamente". A Isernia comincia a sperimentare la pittura parietale, utilizzando il gessetto direttamente sulla parete e realizza alcuni affreschi monumentali in alcuni caffè e in un famoso locale di quel periodo chiamato "Casbah". Nel 1968 collabora con lo scenografo Filippo Senerchia realizzando le parti pittoriche di molte sue scenografie, tra cui una delle più importanti al teatro Flavio Vespasiano di Rieti. Nel 1971 restaura le parti mancanti degli affreschi realizzati dal pittore Trivisonno, nella chiesa di S. Anna in Cantalupo del Sannio. Sempre nello stesso anno realizza la prima personale alla galleria il Carboncino di Campobasso e comincia a frequentare gli artisti emergenti di quegli anni. Della pittura di Antonio Tamburro ci corrono incontro, nella rivisitazione di memorie, le antitesi di ombre e di luci, sciabolate di colore ridotte progressivamente a scontri di bianchi e di neri nei quali il contrasto si fa aggressivo e violento. "Come in certe visioni di città immaginarie o immaginate - aveva scritto Solmi - la materia sembra esplodere in un fragore di lucidi cristalli e il dipinto è fermato (...)": è ancora quella sensazione provocata dall‘impatto, quel colpo improvviso che suborna l‘occhio e subdolamente inganna la conoscenza globale di questa pittura e tende a restringerne l‘area entro limiti di una figurazione dominata da emozioni assai forti e tuttavia di superficie. Ed è, questa, la strada ambigua lungo la quale l‘incontro forma-colore, che qui consegue risultati eccellenti, rischia di sottrarsi alla considerazione critica per accentrare l‘analisi sugli aspetti di una tecnica prevaricante; anche se questa è un fattore primario, e quindi di grande rilievo, in una pittura che in verità stimola trascendenze per incantesimi e si svolge sul metro di una poesia che ne ritma il tempo come per inni misteriosi, mitici.

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