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PERSOLJA MIRO
 
ARTISTA OPERE MOSTRE IN ASTA
 

Biografia Miro è. Omar Khayyam scrisse: “cerchio di luce che irradi energia, come il sole, in ogni cosa”. Al di là della forma, al di là del racconto, esiste una dimensione sospesa, ai confini della realtà, in cui lo sguardo si smarrisce attratto da una sinfonia di luce: la dimensione dell’estasi. In questo spazio virtuale Miro crea le sue opere. L’esplosione dei colori sovrasta l’esigenza di un lessico rigoroso e di una narrazione convenzionale, prevaricando i limiti del lecito e dell’ovvio, addivenendo a una soluzione forte ed esaltante che permette un’ascesi inconscia verso il sublime. I riferimenti a Klimt, Kline, Tancredi, Pollock sono voluti, in quanto pretesto dichiarato, per una rivisitazione personale che, tramite la tecnica tiffany, mediata da una grande sensibilità per la musicalità del colore, ottiene come risultato un’opera ai confini tra pittura e scultura, tra altorilievo e glittica, tra mosaici e vetrate, il cui senso, la cui originalità, la cui forza è da ricercarsi all’interno di noi. Ogni sua opera è un diodo che convoglia la luce, come l’energia vitale di Bergson all’interno del nostro animo, eccitando il nostro sistema sensoriale ed emozionale sino all’estremo. Solo gli spiriti nobili sono amati od odiati: l’indifferenza si addice alla mediocrità. Non esistono così posizioni intermedie. L’opera di Miro o ci esalta o ci disturba o si ama o si odia: attrazione degli opposti mai statici ma sempre dialettici tra loro, in continuo divenire. La memoria di Democrito e la cultura di Averroè in una sintesi riuscita di fermenti che stravolgono il nostro immaginario collettivo: l’opera d’arte non più intesa come rappresentazione del quotidiano o dell’emozione ma elemento catartico e al contempo mediatico per accedere all’ascesi, all’avvicinarsi al sublime tramite l’emozione introspettiva data dalla luce che ci pervade e ci unifica con l’Armonia Universale. Nei grandi artisti di ogni tempo la forma si fonde con l’insieme creando un tutt’uno; ciò è più facilmente visibile in Seurat, Previati, Segantini, Casorati. L’esigenza di divenire terra con terra, energia con energia, luce con luce, forma con forma, anche quando essa non compare e sembra assumere valenza negativa apparendo non-forma o ripetizione di luoghi comuni, è l’aspirazione e l’ambizione di ogni artista vero. La morte si sconta vivendo, su questi versi del Poeta si tesse la vita dell’Arte: travaglio, angoscia, solitudine e incomprensione sono i compagni di strada della quotidianità. Le lusinghe di un proscenio, anche se per un applauso solo effimero, si pagano recitando per sempre il leitmotiv di Dante Alighieri: “quanto sa di sale lo pane altrui”. La sofferenza è la maieutica dell’arte, dove essa è assente l’altra è latitante. In Miro il tormento e l’estasi trovano l’epilogo nella realizzazione di opere che sono i confessionali dell’anima, che ci consentono di sentire il divino intorno a noi in una esaltazione panteistica dove la fede ci unifica e ci permette di gridare: Dio è con noi. Le opere esposte sono gli accenti tonici del processo di dilatazione della materia e della sua trasformazione in energia. Aristotele affermò che la forma è lo stato sublime della materia. Poi si dimostrò, con le grandi intuizioni della nostra era, che la materia è energia allo stato potenziale. In un’opera d’Arte la luce è l’elemento catalizzatore del processo di fusione e di implosione. Quel processo che trasforma materia in energia allo status visivo. Questo processo di trasformazione molecolare può avere effetti devastanti o esaltanti. Il confine tra il bene e il male è il suo utilizzo non la sua essenza. Un coltello può tagliare il pane o uccidere. Il processo è quello che è: innegabile-oggettivo-tremendo. Il suo utilizzo può essere: utile-sociale-distruttivo. La scelta è solo a posteriori: così l’avvicinarsi ad un’opera di Miro è come accedere a un acceleratore di particelle. Le sue opere possono piacere o non piacere ma è indubbio che lascino la tracciabilità di un proiettile sparato dalla tela alla nostra anima. Una traccia di energia pura che colpisce il nostro sistema di difesa edificato sui paradigmi storici dell’estetica classica, della cultura del bello, dei moralismi decadentisti e dell’iconografia sacrale. Un proiettile che trapassa, forse non uccide, ma mette in crisi il sistema di difesa che ci immunizza dalle novità, dalle invenzioni, dalla paura del nuovo, poiché ogni scoperta potrebbe inficiare la nostra acquisita scala di valori. “Gli uomini in nero” vogliono cancellare Atlantide e la sua memoria, così questo proiettile assassino rischia di uccidere “il chiaro di luna” e “il ritratto della filatrice” come “la maternità” e “i paesaggi” di sempre e da sempre dipinti, sostituendo immagini a energie, sostituendo la critica contemplativa a una autoanalisi ascetica. Difficile accettare una sfida così totale. La sfida. Miro è.

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